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mochi: alessandro farnese (particolare)


Alessandro Farnese a cavallo
a cura di Primo Casalini


Piazza dei Cavalli è la piazza storica di Piacenza, ed è un nome singolare, visto che in essa sorge il palazzo del Comune, detto il Gotico, fra i migliori esempi dell'architettura civile gotico-lombarda. Ma i due monumenti equestri realizzati in bronzo da Francesco Mochi (1580-1654) nel '600 hanno prevalso, e "Piazza dei Cavalli" è divenuta il nome corrente. Dei cavalli, e non dei cavalieri, che sono Alessandro e Ranuccio Farnese, padre e figlio, duchi di Parma e Piacenza in successione diretta. I due monumenti, che costarono molto cari ai cittadini di Piacenza, furono edificati per ordine di Ranuccio: prima il suo, nel 1612, e circa dieci anni più tardi, fra il 1620 ed il 1625, quello del padre Alessandro. Ed è il monumento ad Alessandro ad essere fra i pochi grandi monumenti bronzei nelle nostre piazze, col Marco Aurelio in Campidoglio a Roma, a cui soprattutto si ispira, ma anche col Gattamelata di Donatello a Padova, il Colleoni del Verrocchio ed i cavalli di S.Marco a Venezia, tutti monumenti che il Mochi studiò direttamente nel 1616, quando, dopo aver ultimato la statua di Ranuccio, ottenne di potersi recare a Padova ed a Venezia prima di intraprendere la statua di Alessandro. Francesco Mochi, che era toscano di Montevarchi, inizia dal manierismo del Giambologna ed arriva al barocco del Bernini trovando una coerenza tutta sua a Piacenza ed anche nell'annunciazione in marmo del Duomo di Orvieto, che è del 1605.

mochi: alessandro farnese

E' una specie di nemesi artistica, quella che involontariamente (?) operò Francesco Mochi. Alessandro aveva esordito brillantemente a Lepanto (1571), poi era stato generale al servizio degli Spagnoli ed aveva ottenuto grandi successi nelle Fiandre con la presa di molte città fra cui Anversa. La sua fama era europea e, non avendo molto tempo da dedicare al suo stato, lo aveva fatto gestire dai funzionari. Il figlio Ranuccio, che divenne duca alla morte del padre, nel 1592, si immerse completamente nelle attività dello stato e lasciò un ricordo di ferocia bieca ed ottusa. Già era infelice personalmente: obeso e probabilmente epilettico. Ma a questo aggiunse una sospettosità verso tutti e tutte; gli si deve il famoso processo contro la cosidetta "congiura della Sanseverina", Barbara Sanvitale, che ispirò Stendhal per la Chartreuse.
vista dal basso
Il processo fu crudelissimo ed i "congiurati", naturalmente confessi dopo le torture, furono tutti portati a morte nella piazza grande di Parma. Ranuccio incamerò i loro feudi. Maria Bellonci, nei "Segreti dei Gonzaga" racconta in modo documentato i terribili avvenimenti, dovuti anche all'astio ed alla gelosia che Ranuccio provava verso Vincenzo Gonzaga duca di Mantova e buon amico della Sanseverina. Impressiona come Ranuccio, oltre a metterci del suo, fosse continuamente perseguitato dalla "malasorte", fino a quando addirittura fece fare un processo per stregoneria ad una sua amante ed alla madre della donna. Poi arriva il Mochi, raccomandato da un altro Farnese, il cardinale Ottavio, fa due statue equestri, simbolo della potenza dei Farnese, e quella che tutti ricordano è la statua del padre, il generale Alessandro. Eppure, ai trent'anni di dominio di Ranuccio, Piacenza deve i due Cavalli, e Parma deve il palazzo della Pilotta, il teatro Farnese e la fortezza della Cittadella. Una accorta politica culturale, come instrumentum regni, per galleggiare contro dinastie più antiche e meno chiacchierate, seguendo i consigli accorti dei cardinali Farnese: Ottavio che sceglie il Mochi, e, a Roma, qualche anno prima, Odoardo che decide la grande impresa di Annibale Carracci per palazzo Farnese. Per comprendere appieno la forza, il movimento, la libertà compositiva del monumento ad Alessandro, occorre guardarlo da diversi punti di vista, girarci intorno, insomma, se si è nella piazza. Per questo ho inserito immagini diverse. Il momento di assoluta grazia creativa del Mochi è confermato nel basamento dal bassorilievo stiacciato con una scena di battaglia attorno ad Anversa e dallo straordinario putto reggistemma: forzuto, ghignante per il peso dello stemma, lontanissimo dall'iconografia tradizionale, salvo il ricordo, inevitabile per uno scultore toscano, delle opere più aspre di Michelangelo, non finite per scelta un secolo prima.

putto reggistemma

Rialzando lo sguardo da questo rude putto al cavallo ed al cavaliere, sembra che siano investiti da una folata di vento. "Lanciato al galoppo, il cavallo montato da Alessandro Farnese ha uno scatto, una agilità, un ritmo affatto nuovi; il duca è trascinato via, innestato saldamente sulla groppa del destriero sotto l'impetuoso incalzare di un gran vento che ne inarca il martello e ne sconvolge le chiome" (Valentino Martinelli). Francesco Mochi sottilmente bilancia, da buon toscano, il movimento in avanti limpidamente indicato dalle due zampe anteriori del cavallo col movimento all'indietro suggerito dal manto gonfio di vento. L'inevitabile enfasi della rappresentazione del potere viene completamente assorbita dal senso di movimento, dall'immersione nella luce e nell'aria: il generale Alessandro va di fretta, in questa città di cui fu duca per appena sei anni, dal 1586 al 1592, senza quasi vederla mai.

mochi: alessandro farnese

Così scriveva a Filippo II di Spagna pochi mesi prima di morire (ad Arras, ad appena quarantasette anni): "Io mi rammarico di vedermi, dopo tutte le fatiche sostenute e i pericoli corsi in servizio di V. M. quando appunto sto coll'anima fra i denti e colla morte alla gola dimenticando figli, casa ed amici, trattato così invece di ricevere riguardi e onori, invece di venir posto in grado di lasciar ai miei figli cio che è meglio di tutte le ricchezze che la mano di un re può dare, cioè un nome onorato e senza macchia. Voglia V.M. considerare questa cosa non tanto con occhio di sovrano quanto di cavaliere". Una lettera il cui tono lo rende degno della grandezza che Francesco Mochi gli ha attribuito con la sua arte. Per la complessa genealogia dei Farnese, è esauriente la pagina Dinastia Farnesiana ospitata su un server dell'Università di Parma.
Di Alessandro Farnese ci è rimasto un bel ritratto, in un quadro conservato alla National Gallery of Ireland di Dublino, che potrebbe essere stato realizzato in Spagna da Sofonisba Anguissola nel 1559, quando Alessandro non aveva ancora compiuto quindici anni. Oltre al cappotto tedesco, in broccato d'oro adorno di perle, si scorge la fodera di ermellino, segno regale che spettava ad Alessandro Farnese, nipote di Carlo V.

sofonisba anguissola (?): ritratto di alessandro farnese



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  10 gennaio 2004 agg. 26.08.2004